PROGETTO EFFETTO FARFALLA IN AMAZZONIA – 5^ edizione
27 maggio 2023 – 27 maggio 2025



Effetto farfalla

dall‘Amazzonia in difesa delle foreste

Dal Cansiglio all’Amazzonia, salvaguardare le foreste – e i loro abitanti – e? tra i presupposti fondamentali per garantire il futuro del nostro Pianeta per le generazioni a venire. 

“Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo”: mai citazione di un film fu piu? azzeccata, soprattutto quando parliamo di cambiamento climatico e, piu? in generale, di tutti gli effetti che

il nostro comportamento ha sull’intero Pianeta. Ecco dunque che due foreste, quella Amazzonica e quella del Cansiglio, geograficamente cosi? distanti, si rivelano invece piu? vicine di quanto si creda...

Lo sa bene l’Associazione “Il mondo di Tommaso”, che promuove un “viaggio di conoscenza” dei po- poli nativi della foresta amazzonica, in particolare degli Indios Yanomami, per i quali e? in atto un atro- ce genocidio. Nasce da questo presupposto “Effetto farfalla”, progetto in difesa degli Indios, nato per custodire la piu? grande foresta pluviale del mondo, il luogo piu? straordinario e importante per la tutela della vita sulla terra. Tra i suoi sostenitori, Toio De Savorgnani (scrittore, ambientalista e scalatore), Raffaele Luise (giornalista e scrittore) e Michele Boato (scrittore e Direttore dell’EcoIstituto Langer del Veneto) cui abbiamo affidato gli approfondi- menti che trovate in queste pagine. Tre interventi che affrontano l’argomento da tre prospettive differenti, accomunate da una stessa consapevolezza: salvaguardare la foresta, e i suoi abitanti, e? fondamentale per salvaguardare l’esistenza stessa del nostro Pianeta. 

Foresta del Cansiglio e Foresta Amazzonica, un solo obiettivo: conservare per il presente e per le generazioni future di Toio De Savorgnani

Per decine di migliaia di anni le culture umane han- no interpretato la foresta come antagonista, luogo da cui allontanarsi ma soprattutto da eliminare, sostituendo ad essa prima la radura e poi la grande pianura, del tutto o quasi spoglia d’alberi spontanei e di ecosistemi naturali, ma addomesticata e piegata alle sempre piu? esigenti aspettative umane, come se solo con l’abbandono e la distruzione delle foreste si fossero create le condizioni per la nascita e lo sviluppo della cosiddetta civilta?. Finalmente stiamo cominciando a capire che la foresta non

ha alcun bisogno dell’animale umano, il quale, al contrario, senza la foresta non solo non sarebbe mai esistito, ma nemmeno potrebbe sopravvivere in futuro. Siamo pero? solo all’inizio di un cammino di consapevolezza e coerenza che, per ora, e? ben lungi dall’essere realmente perseguito. Per tutti quei popoli che oggi indichiamo col termine di nativi, ma che fino a non molto tempo fa declassavamo a selvaggi o primitivi, la foresta e? stata ed e? ancora fonte di vita: la realta? di cui dovremmo diventare pero? sempre piu? consapevoli e? che la buona salute delle foreste sull’intero pianeta non e? piu? solo un 

problema per le piccole e minoritarie culture indi- gene, ma e? un’emergenza non piu? evitabile per tutti gli ormai otto miliardi di umani. E? una banalita? continuamente ripetuta che buona parte dell’ossigeno di cui non possiamo fare a meno per sopravvivere e? il prodotto secondario di quello straordinario processo chimico che avviene nelle foglie, cioe? negli alberi e percio? dalle foreste, che e? la fotosintesi clorofilliana? Gli alberi sono capaci di usare l’acqua, l’anidride carbonica dell’aria e la luce del sole per creare sostanza organica, ossia legno e materia viva verde; il mondo vegetale riproduce se stesso e rende possibile tutto il resto della vita. Dovremmo imparare dalla foresta e dai suoi cicli ma non lo facciamo, anzi, ce ne allontaniamo sempre di piu?. Dovremmo piantare piu? alberi, ma invece continuiamo ad aumentare il taglio e lo sfruttamento della foreste.

In questo processo di autodistruzione, di cui sempre piu? abitanti del pianeta stanno prendendo coscienza, non bisogna perdere la speranza che sia ancora possibile un’inversione di tendenza e che ognuno di noi, nessuno escluso, si senta chiamato a fare la sua parte: se le foreste sono cosi? importanti, anzitutto vanno conservate quelle gia? esistenti, in tutta la loro complessita?, abitanti originari compresi. Ecco il motivo per cui ci stiamo impegnando per creare connessioni tra l’ancora vasta foresta amazzonica e il nostro piccolo ma emblematico Cansiglio. L’Amazzonia e? la foresta pluviale tropicale piu? nota e simbolica, quella che rappresenta meglio la trage

dia della perdita di una straordinaria biodiversita?, ma e? anche il luogo delle nostre memorie ancestrali, ricordo di una umanita? primordiale in equilibrio con il resto della vita visibile e invisibile. In questo

L’Amazzonia e? la foresta pluviale tropicale piu? nota e simbolica, quella che rappresenta meglio la tragedia della perdita di una straordinaria biodiversita?

contesto le culture native indios, almeno quelle sopravvissute alla violenza e alla prepotenza dell’Occidente, vanno aiutate affinche? non si estinguano e possano conservare stili di vita e credenze spirituali. Ci possono insegnare molto, sono un esempio da seguire e anche le loro antiche conoscenze possono risultare sempre piu? utili all’Umanita? intera.

La foresta del Cansiglio, demanio pubblico a cavallo tra Veneto e Friuli, terra di confine tra pianura e montagna, tra est e ovest, luogo identitario per veneti e friulani, racchiude molti motivi di grande interesse, dalla geologia all’archeologia, alla botanica, alla storia, alla selvicoltura. Non puo? essere considerata poco piu? che un grande contenitore di alberi da tagliare, bensi? ne vanno messi in evidenza e conservati i valori della biodiversita?. 



 




Canto per l’Amazzonia di Raffaele Luise


Quel che piu? stupisce negli immensi labirinti d’acqua e di alberi nell’Amazzonia piu? intoccata e segreta – in cui mi sono immerso per quasi tre mesi, due anni fa – e? la sublime e, per noi occidentali, inesplicabile armonia che lega tutte le cose, tutte le creature e quello sterminato bioma agli Indios, i circa cinquecento Popoli indigeni (compresi i Popoli Isolati) che abitano la Panamazzonia dai tempi ancestrali. Una simbiosi affascinante e totale, che mi ha come trasportato in un altro pianeta o, chissa?, nel centro piu? sconosciuto della piccola Terra, e che esprime plasticamente il valore inestimabile (e indispensabile, sia per la salvezza dell’umanita? che della asfittica civilta? occidentale) dell’atavica sapienza indigena: sono loro, gli Indios (nemmeno un milione di persone in tutta l’Amazzonia brasiliana), i piu? perfetti difensori dell’immensa foresta. Un’immensa creatura (grande come quasi tutta l’Europa), sacra per gli indigeni – e non solo – che negli angoli piu? interni e lontani e? capace addirittura di convincerti che Dio, Uomo e Mondo sono una stessa misteriosa amalgama. Una straordinaria armonia che nell’Amazzonia tocca il suo vertice, ma che e? presente a tutte le latitudini, nelle altre foreste pluviali, nelle meravigliose piccole isole che scolpiscono i mari e gli oceani e nelle meravigliose foreste che ancora impreziosiscono l’Europa, come quella del Cansiglio. Un filo ideale tra la foresta del Cansiglio e la foresta Amazzonica e? stato tessuto lo scorso giugno 2023, in occasione del festival “Cansiglio inVita” – organizzato da: Universita? degli Studi di Padova – TESAF (Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali) e DPG (Dipartimento di Psicologia Generale), Veneto Agricoltura, Societa? Selvatica) a cui l’Associazione “Il Mondo di Tom- maso” ha dato il proprio contributo con il suo progetto – invitando lo sciamano del Popolo Mayuruna, Marcos Goncalves, il cui toccante messaggio per noi occidentali e? stato: “La nostra terra e? la nostra vita, non fonte di lucro”, aggiungendo subito: “L’Amazzonia non e? la nostra casa esclusiva, l’Amazzoni e? di tutti gli uomini del mondo”.

E? infatti l’Amazzonia il punto di partenza e il mo- dello, dove si giocano in gran parte i destini ecologici del mondo e dove la nostra attenzione deve restare massima giacche?, se pure con la presidenza Lula la situazione sia migliorata rispetto alla barbarie di Bolsonaro, la deforestazione continua inarrestabile. Per cercare di fermare (e di invertire) questo attacco alla Madre Terra e? necessaria una nuova visione della realta? e del mondo, e in definitiva di una nuo- va passione, come un ri-innamoramento della vita, dove tutto si tocca e convive. 

La testimonianza di Nara Bare?: le donne del Rio Nero con i popoli della foresta di Michele Boato

L’Amazzonia e? stata sempre vista come un territorio da sfruttare, non da salvaguardare. «Noi indigeni abbiamo sempre rappresentato l’unico ostacolo alla volonta? di distruzione. Abbiamo subi?to, per questo, un’occupazione e una persecuzione che continua fino a oggi», spiega Nara Bare?, leader del movimento nativo dell’Alto Rio Nero. Eletta nel 2018 coordinatrice delle Organizzazioni Indigene dell’Amazzonia brasiliana, assemblea che riunisce 600 rappresentanti di tutta l’Amazzonia brasiliana ed e? costituita per il 70% da uomini, e? la prima donna a rappresentare 160 popoli nativi di 9 Stati brasiliani. Nara Bare? nasce nello Stato brasiliano di Amazonas a 800 km da Manaus, nella regione dell’Alto Rio Nero, al confine Nord con Colombia e Venezuela, dove gli indios nativi rappresentano il 90% della popolazione. Nella regione vi sono 23 popoli, ognuno con la propria lingua. Nara Bare? e la sua comunita? sono raggiungibili solo per via fluviale. In questa realta? si sviluppa, a partire dagli anni 80, il primo movimento di donne native brasiliane, con la costituzione dell’Associazione delle donne del Rio Nero, per avere rappresentanza nei processi decisionali all’interno delle comunita?. «Non fu una disputa tra uomini e donne, ma il riconoscimento alle comunita? indigene del Rio Nero, alla lotta delle donne e alla credibilita? che ci eravamo conquistate. Essere donne indigene e? oggi sinonimo di resistenza e tenacia. La nostra presenza e? importante in una societa? che cerca di rendere invisibili i nativi. Il nostro impegno in prima fila li rende piu? visibili a tut- to il mondo». In Nara si sommano la forza di essere donna e quella di essere indigena. Le associazioni delle donne indigene affrontano tutte le questioni che riguardano le comunita? in cui vivono: la violenza sulle donne, la gestione del territorio, la salute, l’educazione dei figli, le attivita? lavorative. L’artigianato e? la principale attivita? portata avanti dalle donne, consente di ottenere un reddito di cui la comunita? ha bisogno. Vengono creati pezzi e opere d’arte utilizzando i prodotti naturali della foresta. Dice Nara: «Il nostro artigianato e? il simbolo della nostra cultura, del modo di vivere, delle usanze, ma sempre piu? spesso le donne hanno difficolta? a procurarsi il materiale nelle aree di deforestazione». Ci parla anche delle attivita? agricole svolte dagli uomini e dalle donne, nel rispetto dell’ambiente:

«Il nostro sistema agricolo e? un insieme di saperi e di pratiche agricole, di tecniche per la gestione dello spazio da coltivare in modo naturale, con una rete sociale di scambio di sementi e piante, per essere indipendenti da un punto di vista alimentare. Siamo, pero?, sottoposti alle forti pressioni delle attivita? dell’agrobusiness, che inquinano il terreno e le acque, interferendo con le nostre attivita?.

Le donne indigene non possono piu? assistere alla devastazione dei loro territori e alle violenze subite dai loro uomini. Abbiamo capito che era giunto il momento di lottare insieme a loro. Abbiamo fatto comprendere ai nostri padri, fratelli e mariti che la partecipazione alle iniziative insieme ad essi avrebbe migliorato la vita di tutti. Oggi vedo molte donne indigene, anche di altre zone, che alzano la voce e rappresentano i loro popoli». 






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